La Terra piatta

Amate la Vita come io rispetto la Natura
Rispettate la Natura come io ho amato la Vita.

 

Breve prefazione: Il mio primo racconto, non so se ne seguiranno altri, i miei strumenti linguistici sono abbastanza limitati ma le idee non mancano. Il racconto è breve abbastanza per perderci solo 10 minuti di tempo, ovviamente Vi esorto a passarli su letture di opere di scrittori molto più titolati e dei quali io sono appassionato lettore. Ma se ho suscitato appena un po di curiosità allora forse non saranno 10 minuti persi e potrò vantarmi per averVi distratto da impieghi diversi per il tempo equivalente. Se poi sono perfino riuscito a stimolare dei dubbi e delle riflessioni allora sono felice di aver vinto anche il mio primo premio. Buona lettura.

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Gli Allarmi continuavano incessantemente a stridere nella plancia di comando tra nuvole di fumo e scintille di circuiti sovraccarichi. La vecchia nave multiruolo, in missione ufficiale d’esplorazione di remoti sistemi galattici, cadeva verso il terreno cercando di contrastare la velocità troppo elevata e limitando il più possibile gli eventuali danni da impatto sulla superficie del pianeta, ma l’attrito con l’eliosfera contribuiva a surriscaldare lo scafo oltre il limite di un rientro sicuro. Purtroppo le alternative si riducevano a una rotta di rientro molto angolata per ridurre gli effetti delle radiazioni della stella verso la cui gravità si erano ritrovati a combattere dopo l’ultimo salto iperdimensionale. Cercavano di farsi scudo con l’ombra meno calda del pianeta scoperto per una coincidenza fortuita, la cui orbita passava vicino alla nave e riduceva per quanto possibile il calore e le radiazioni emesse dall’astro infuocato. La correzione della traiettoria verso tale zona d’ombra era stata decisa in fretta poiché il computer di bordo non aveva fornito alternative oltre quella di bruciare nelle prossimità della superficie della stella, l’inversione di rotta era infatti impossibile, tuttavia lo scanner aveva fornito quella misteriosa piccola area meno calda che poteva essere raggiunta prima della inarrestabile fusione dello scafo.

Nel momento di maggior carico termico e meccanico e quando ormai quasi tutti i sensori esterni e le piccole appendici aerodinamiche erano state consumate dall’attrito e l’equipaggio si era ormai affidato alle preghiere, il termometro misurò una repentina inversione all’aumento termico delle corazze esterne. Furono tutti sorpresi per la scoperta della presenza di una qualche atmosfera su un pianeta così vicino alla sua stella da essere invisibile a qualsiasi radar. La nave continuò a frenare procedendo pesantemente, mentre la maggior parte dei sistemi continuavano a segnalare guasti intermittenti e gli allarmi a squillare all’unisono, questa volta la velocità finalmente ridotta lasciò intravedere una speranza di salvezza.

Più ci si avvicinava alla superficie e più i parametri miglioravano, fino al momento che le lingue di plasma infuocato, che avevano avvolto lo scafo e i sensori, erano scomparsi e permettevano di vedere grossolanamente l’aspetto del pianeta. La superficie intorno sembrava abbastanza regolare a parte solo una grossa sagoma di un rilievo montagnoso al centro dell’orizzonte e la parvenza di nubi in alto, i bordi però, finché era permesso vedere in lontananza, scomparivano in una sfumatura di nebbia rossiccia, e più la visibilità aumentava al centro e più i bordi rimanevano offuscati.

Finalmente, dopo aver scelto un luogo sufficientemente pianeggiante per posarsi, la nave atterrò facendo gemere il metallo della sua struttura con i possenti carrelli che penetrarono lievemente in un soffice terreno sabbioso. Una volta spenti tutti i focolai d’incendio e stabilizzato i sistemi, si procedette con una analisi dei danni e dell’ambiente in cui erano miracolosamente atterrati.

Era già chiaro a tutti il motivo di quella situazione di estrema emergenza in conseguenza del fine sabotaggio del sistema di salto iperdimensionale con la riprogrammazione del computer di navigazione in modo da farli uscire rischiosamente vicini all’astro.

Era l’opera della pericolosissima gang terroristica conosciuta come “I custodi del Paradiso”. I pochi seguaci rimanenti di questa gang di fanatici religiosi si autoproclamavano “Angeli armati” e non esitavano a ricorrere alla violenza, al sabotaggio e a qualsiasi azione armata che avrebbe sublimato la loro anima in eterno per i servigi resi al loro supposto Creatore.

Qualche ferito, qualche contuso, una frattura, e tra la sorpresa di tutti gli ufficiali scientifici gli scanner e i sensori ancora operativi fornivano dati che però si faceva fatica a razionalizzare tenendo ben presente che si era finiti all’interno della sfera di plasma che generava la corona solare più esterna: una gradevole gravità naturale di circa 0,8 G; temperatura e pressione atmosferica compatibile con un sistema abitabile simile ad un qualsiasi deserto equatoriale terrestre; poche o nessuna radiazione nociva; la composizione dell’aria analizzata da un campione forniva le percentuali di una discreta quantità di ossigeno e vapore d’acqua (come essere su una quota di 6000 mt terrestri); varie percentuali poco significative di elementi pesanti e nocivi alla vita umana; ma grandi quantità di elio e piccole percentuali ma significative di idrogeno e azoto e anidride carbonica; l’analisi biologica forniva invece l’assenza di agenti patogeni, ma una discreta quantità di primitive spore vegetali in varie percentuali. Gli eccezionali dati raccolti facevano presupporre addirittura che si potesse respirare con poca difficoltà senza l’ausilio di tute o maschere.

Il dubbio fu subito certezza quando uno dei tecnici assalito dal panico e dallo stress aveva aperto uno dei portelli di aerazione secondari inondando per qualche minuto la plancia con l’aria del pianeta ed esponendo tutto l’equipaggio. Un odore leggermente dolciastro e di carbone bruciato si sparse all’interno della nave e una leggera ebbrezza fu avvertita come dopo aver bevuto mezzo bicchiere di alcol, ma niente di mortalmente nocivo.

La prima uscita all’ambiente aperto, prima con l’ausilio di una mascherina di ossigeno per ristabilire la giusta percentuale respirabile e poi senza, forniva la visione globale del luogo in cui i miracolati si erano venuti a trovare. Il primo contatto diretto con quel mondo lo forniva la vista: il colore di fondo era un rosso arancio scuro ma illuminato da una luce chiara e diffusa in tutte le direzioni, l’orizzonte era una sfumatura di foschia giallo rossa molto omogenea che non forniva salti netti ma era interrotta solo in un punto dell’orizzonte da quello che sembrava essere una montagna, e nella stessa direzione il cielo passava dal rosso alla base al giallo al verde nella parte più alta localizzata sopra il promontorio; una leggera brezza soffiava dalla stessa direzione;  un rombo continuo e diffuso si udiva in bassissima frequenza come una batteria di ugelli di razzi in lontananza e sempre con la stessa bassa intensità.

La nave, una corvetta AC-34 multiruolo, allestita per esplorazione e trasporto delle industrie spazionavali ALFA, appariva tutto sommato integra a parte la mancanza di quasi tutte le appendici aerodinamiche, le antenne e i sensori, aveva assunto un color carbone con macchie di vernice originale rimanente nei punti più nascosti. Il sensore topografico a lungo raggio si era guastato quasi per primo e non era stato possibile avere una mappa accurata della superficie e ne del resto di questo bizzarro pianeta, gli unici scanner da cui si potevano scaricare dati erano quelli portatili ma avevano un corto raggio d’azione. Nelle ore successive fu lanciato in aria un drone IEN-4 dalle dimensioni di un paio di metri per esplorazione e raccolta dati. La permanenza su questo piccolo mondo non era tra le opzioni di missione anche se era necessario aspettare che i tecnici facessero un rapporto completo sulle condizioni della nave.

Il drone automatico che poteva affidarsi al raggio d’azione massimo dei suoi sensori di circa 10 km, con propulsione di minicelle nucleari ad antimateria fu programmato per la mappatura del terreno, l’acquisizione di dati ambientali atmosferici, la telemetria in tempo reale e la ripresa video, e se pur dotato di intelligenza artificiale base veniva indirizzato verso l’unico rilievo appena visibile di questa superficie regolare e pianeggiante.

Nelle ore che seguirono si cercava di riparare i danni alla nave e i moduli primari. Il drone veniva costantemente monitorato e i dati esaminati continuamente allo scopo di capire soprattutto come ripartire in sicurezza, ma tali informazioni fornivano scenari sempre più incredibili.

Il drone, volando ad una media di circa 50 km/h ma variando periodicamente la quota per acquisire più dati possibili, in 24 h aveva coperto circa 1000 km di spazio. Il dato più sorprendente era la  temperatura e il grafico che veniva tracciato mentre tutti gli altri parametri erano abbastanza costanti, la superficie sempre molto regolare, ma da un’altezza di 20 km i sensori misuravano al limite del raggio di scansione verso l’alto una diminuzione di temperatura. Per misurare lo stesso valore costante di temperatura di 250 °C la quota saliva proporzionalmente al proseguimento della rotta programmata rappresentando un vero e proprio guscio di separazione al di sotto del quale c’erano le condizioni per la condensazione del vapore acqueo . Qualche ora più tardi lo stesso drone trovava acqua liquida e una striscia di vegetazione ai bordi di quella che sembrava la riva di un mare o la sponda di un fiume molto largo, infatti i sensori non rilevavano altre sponde opposte e ne ai lati a parte l’altura già visibile dal luogo dell’atterraggio. Vegetazione confermata dall’analisi di alcuni campioni raccolti localmente. Inoltre la velocità con cui procedeva verso il promontorio era in parte diminuita a causa delle periodiche variazioni di quota sempre più estese e l’incontro con la formazione di nubi di vapor d’acqua abbastanza dense e stabili. Vi fu un altro sostanziale cambio di scenario circa 80 ore dopo il lancio e il drone aveva percorso quasi 3000 km, giunse in prossimità della montagna ma il mare incontrava di nuovo la terra e finiva ai piedi della base di questa enorme struttura rocciosa in cui le condizioni climatiche perfette e costanti favorivano lo sviluppo di vegetazione, che per quanto più simile ad alghe e muschi, ricopriva l’intera regione intorno alla base come una coperta di color verdognolo tendente al blu. A questo punto si decise di far seguire al drone una strada che lo portava a raccogliere più informazioni su questa nuova struttura rocciosa facendolo salire di quota fino a cercarne la sommità. Gli anemometri registravano una colonna d’aria fredda discendente lungo i pendii di questo enorme pilastro. Pur con moltissime interferenze dovute a forti campi magnetici creati dalla stella, il drone trasmise anche il video della sommità della montagna. Dalla punta, che poco sotto l’ultimo tratto era ricoperta di ghiaccio d’acqua, venivano espulsi violentissimi getti uniformi di plasma rosso-arancio che foravano un cielo verde quasi azzurro. Una eruzione perpetua probabilmente contenente anche materiali in forma fluida e solida che data l’elevatissima temperatura e velocità misurata scomparivano molto più in alto come il gigantesco scarico di un motore a reazione verticale e unendosi poi a quel guscio di flussi  plasmatici provenienti dai bordi. Il drone compì un giro intorno alla cima e poi ridiscese da quello che sembrava essere un strano gigantesco vulcano dalle proporzioni planetarie con un’altezza di oltre 200 km che partiva in basso con un diametro di circa 1000 km la cui forma di un cono quasi perfetto terminava in alto con una bocca larga 10 km. La restante porzione di cielo che dallo zenit scendeva verso l’orizzonte cambiava il colore dal verde-azzurro al giallo, al rosso acceso come sotto una cupola in cui le lingue di plasma si vedevano fluire dal basso dell’orizzonte per tutti i 360° verso il centro in alto sulla verticale di questa cupola immaginaria e che il vulcano forava col suo pilastro di fuoco eruttivo. Il poco materiale che ricadeva lungo le pareti raffreddandosi era contenuto a una breve distanza dalla superficie esterna come un sottile mantello discendente, raccogliendosi in verticali creste regolari intorno alla montagna, e per una distanza maggiore il drone rilevava un flusso d’aria molto veloce e spesso che ripercorreva le pareti fino alla base distribuendosi poi omogeneamente per tutte le direzioni verso l’orizzonte. A questo punto, insieme anche ad altri dati raccolti nel frattempo dalla nave in riparazione, fu conclusa una analisi abbastanza dettagliata di quello che poteva essere la mappa del luogo e il particolarissimo clima planetario.

Il pianeta, almeno secondo i dati raccolti, misurava una massa abbastanza ridotta (paragonabile con quella della luna terrestre) per le dimensioni di una superficie sostanzialmente piatta mappata per almeno 10-15 mila km di diametro in un bordo esterno circolare e confinante con un muro di plasma uniforme per tutta la circonferenza del piatto (flusso di plasma generato dalla stella molto vicina). Analogamente al movimento orbitale della Luna terrestre, il pianeta mostrava sempre la stessa faccia alla stella attorno alla quale girava, il moto di rotazione e rivoluzione erano sincroni (fatto molto più comune sui pianeti ospitanti masse in movimento come i fluidi) ma molto più veloci di quelli lunari, si calcolava l’orbita di rivoluzione completa in poche ore, la forza centrifuga risultante contrastava in buona parte la forza di gravità della stella agente a quella breve distanza.

Il flusso di plasma sembrava convergere verso quello che era il centro del piatto dove si trovava un mega vulcano in piena attività, formando una cupola in movimento al di sopra della superficie che racchiudeva nell’intercapedine una vera e propria bolla atmosferica sottostante di forma toroidale molto schiacciata. Se queste analisi non erano già abbastanza sconcertanti si aggiungeva  un’atmosfera con le caratteristiche di temperatura, pressione e la presenza di acqua liquida da rendere il pianeta non solo favorevole alla vita ma addirittura abitabile dagli umani e la presenza di una folta vegetazione, seppur primitiva, ne era la prova più lampante. La costante presenza del movimento di masse d’aria favoriva il ricambio e il riciclo degli elementi in un clima statico e ipoteticamente invariato da milioni di anni. L’intera biosfera era rappresentata da un ciclone gentile che soffiava a terra radialmente dal centro verso i bordi facendo evaporare l’acqua del mare che assumeva una forma simile a una ciambella per poi riscaldarsi gradatamente nelle zone desertiche in prossimità dei bordi dove il flusso della cupola plasmatica ne accelerava la risalita e la convergenza verso il centro e la zona più fredda dell’intero pianeta nella parte alta del mega vulcano, lì la massa d’aria si raffreddava e condensava producendo nuvole e pioggia ridiscendendo poi verso la base del vulcano e ricominciando il ciclo climatico senza soluzione di continuità o grandi variazioni registrabili e in cui tutti i climi principali e tutti i continenti della Terra ne erano ben rappresentati.

Il parziale ripristino dello scanner planetario fornì un quadro ancora più incredibile, l’analisi dei dati generali di densità media, massa e forma, era compatibile con un pianeta dalla morfologia praticamente piatta in cui la parte, esposta all’azione diretta del flusso continuo di radiazione solare, era stata consumata e dispersa nello spazio per milioni di anni, ma avrebbe fatto da scudo a tutte le radiazioni che avrebbero potuto eliminare la vita in una frazione di secondo o non generarla affatto. Piuttosto con molta probabilità era stato proprio l’insieme delle coincidenze e delle bizzarrie che aveva promosso lo sviluppo di un ambiente in cui la vita primordiale aveva attecchito. Non c’era alternanza tra giorno e notte e il motore della cupola esterna formata da flussi di plasma a loro volta espulsi dalla vicina stella, forniva la costante luce diffusa con una intensità media, le ombre perciò erano quasi inesistenti. L’energia necessaria alla biosfera, per lo sviluppo evolutivo fino a questo livello senza ancora la presenza del regno animale forniva il giusto equilibrio. Equilibrio mantenuto per centinaia di milioni di anni terrestri durante i quali questa terra piatta bruciava e si consumava sempre da un lato e cullava la vita dal lato opposto modellando gentilmente le superfici. Il vulcano invece con tutta probabilità era stato accresciuto nel corso dei millenni dalle spinte e dalle pressioni degli strati planetari sottostanti, svolgendo un ruolo di ulteriore equilibrio climatico e valvola di sfogo delle potenti forze agenti all’interno del pianeta, forse meglio dire “sotto” il pianeta.

Prima che l’umanità diventasse tecnologicamente avanzata da poter permettere l’esplorazione e la colonizzazione di altri mondi e si facessero i primi passi dell’esplorazione terrestre, la Terra era praticamente immaginata in due dimensioni. Le uniche dimensioni che l’uomo riusciva a comprendere facilmente e applicare al suo ambiente ottenevano il risultato di immaginare un mondo “Piatto” e dotato su tutti i lati di bordi ben definiti da cui si poteva perfino cadere…inoltre l’evoluzione del pensiero umano aveva prodotto delle elaborate materie filosofiche quali la teologia e le religioni che avevano influenzato a loro volta la vita e l’evoluzione dell’uomo fino al punto da stabilire o almeno immaginare cosa sarebbe accaduto nel futuro. Secondo una famosa interpretazione nell’antichità esistevano almeno tre luoghi dove le anime avrebbero passato un tempo indefinito in conseguenza delle azioni commesse durante il corso della vita terrena: l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, che partivano proprio geologicamente dal basso o dal “sotto” con il peggior luogo “infernale” e salivano verso l’alto per il più “confortevole” Eden o Paradiso o Nirvana…

Le analogie, tra il pensiero e l’immaginazione umana di almeno 10 secoli prima, la realtà di questo pianeta formatosi e scoperto per un gran numero di coincidenze uniche e la civiltà spaziale attuale, causavano una serie di corto circuiti filosofici e ponevano quesiti teologici e dubbi scientifici quasi da portare alla pazzia chiunque si fosse soffermato a rifletterci appena un po.

Perfino la vita estremamente vulnerabile in tutte le sue forme aveva trovato protezione dalla enorme quantità di radiazioni emesse da così breve distanza in uno scudo naturale di elementi metallici del nucleo originario del pianeta plasmato nel tempo. L’equilibrio di molte diverse potenti forze contrarie agenti su questa piccola oasi paradisiaca nell’inferno di effetti fisici su scala planetaria, e le analogie col pensiero umano che ne profetizzava l’esistenza reale con un così largo anticipo facevano presupporre l’intervento di una mano divina onnipotente e non sempre creduta reale.

Faceva rabbrividire il pensiero per certi versi anche ironico che la scoperta fortuita di questo piccolo Eden era avvenuta come conseguenza del sabotaggio della gang dei custodi del Paradiso.

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Quello che è dato sapere dai files di registrazione del drone di esplorazione da questo punto in poi diventa molto frammentario. Dopo essere stato trovato per caso alla deriva da una nave cargo commerciale di passaggio in quel sistema con il guscio esterno praticamente fuso e con l’aspetto di un relitto metallico tondeggiante, l’estrazione dei preziosi dati contenuti nella sua memoria e la successiva analisi non chiarisce fino in fondo i fatti accaduti.

L’ultimo filmato in ordine di tempo registra un piccolo lampo apparentemente nel centro dell’enorme disco stellare quasi come il lampeggio di un flash fotografico in lontananza nella notte terrestre.

Nel momento in cui si studiavano i piani per evadere dalla permanenza forzata sul pianeta e far ritornare l’equipaggio nell’universo più familiare, la nave, prima ancora di poter fare il primo tentativo di lasciare il pianeta, perse irreparabilmente tutta la parte poppiera, i motori principali insieme con una buona parte di scafo, di equipaggio, e di risorse, a causa di una inspiegabile esplosione.

La successione rapida degli eventi successivi è attualmente all’esame di un gruppo di scienziati: Dalle informazioni e i dati raccolti dal drone è possibile scoprire il Comandante e un gruppetto di membri dell’equipaggio allontanarsi velocemente dal relitto della nave in fiamme e ormai irrecuperabile; prima che le fiamme finiscano ciò che rimaneva del vascello viene lanciata con successo nella direzione della sommità del megavulcano al centro del pianeta una sola capsula di salvataggio contenente solo il drone IEN-4 custode di tutte le informazioni raccolte e poi ritrovato semidistrutto dal cargo.

Un ufficiale ingegnere dell’equipaggio adibito alla manutenzione del drone, rimasto illeso nella nave durante l’esplosione, aveva in tutta fretta preparato la piccola capsula con il drone protetto da tutta la schermatura che poteva inserire nella capsula. Aveva collegato tutte le celle a combustibile nucleare, salvate dallo scoppio, con l’avionica e i propulsori della capsula, allo scopo di sovraccaricarli e aggiungere spinta fino al limite massimo permesso dall’integrità strutturale e programmato il navigatore automatico affinché tale spinta iniziasse in prossimità della bocca del vulcano, ricevendo così un boost supplementare.

La ripartenza dal pianeta, infatti, era diventata la priorità dell’equipaggio tecnico della nave e pareva non essere proprio di facile esecuzione. Piuttosto le varie opzioni di ripartenza e fuga includevano tutte una discreta percentuale di fallimento catastrofico a causa sopratutto del minaccioso flusso si plasma ad elevate temperature a cui la nave non si sarebbe potuta sottrarre. La corvetta, seppur affidabilissima anche oltre i limiti teorizzati, non era progettata per essere sottoposta a sollecitazioni così estreme, inoltre aveva già una volta superato miracolosamente tale test. Sarebbe servita tutta l’energia e tutta la spinta possibile e una buona dose di fortuna già abbondantemente usata nel corso dell’atterraggio.

La commissione di scienziati stabilì che lo scopo dell’ufficiale ingegnere fosse quello di lanciare almeno il drone fuori dal pianeta e farlo sopravvivere alla fusione con la vicina stella con la speranza che potesse testimoniare tutti gli eventi accaduti dopo che fosse stato trovato.

Il lancio della capsula avvenne quasi nella stessa direzione della piccola squadra del Comandante in fuga e fu per pochi secondi l’obbiettivo di qualche colpo del fucile ad onde d’urto che si usava comunemente per le prospezioni geologiche e adesso usato con altri scopi. Nessuno dei colpi del comandante andò a segno, solo uno di essi lambì uno spigolo della scialuppa in volo senza portare apparenti danni mentre proseguiva il suo tragitto verso il vulcano.

Con questo atto si evidenziò l’intenzione volontaria del Comandante di non far sfuggire niente da quel mondo a qualsiasi costo. La scelta così radicale e violenta invece è ancora materia di discussione e lo sarà anche nel futuro se non emergeranno ulteriori elementi utili a chiarirne le motivazioni.

La scialuppa custode del suo prezioso carico invece volò senza ulteriori intoppi verso la prima destinazione programmata, allineatasi dinamicamente col veloce flusso di plasma verso l’alto ne fu prima  inglobata e poi accelerata oltre quello che i soli propulsori, benché sovraccaricati, potessero fornire. La capsula ottenne così una grande velocità ma anche una notevole temperatura fino a quando il computer di bordo previde l’imminente esplosione dei piccoli motori e sopratutto delle celle supplementari di combustibile, il colpo a onda d’urto del comandante aveva in parte disallineato i flussi di energia dalle pile di antimateria danneggiando parzialmente alcuni raccordi.

I relè di apertura della capsula ricevettero l’autorizzazione ad aprirsi espellendo il drone quasi come se fosse stato il carico utile da mettere in orbita intorno alla Terra ad opera del primo stadio dei razzi agli albori dell’era spaziale umana. Il drone era ancora integro e protetto dalla sua schermatura supplementare continuando la sua instancabile raccolta di dati. La velocità di fuga acquisita in questo modo, seppur notevole, non fornì però il tempo sufficiente al drone di sfuggire al gradiente di temperatura e calore in costante e veloce aumento.

Sembrava che il “messaggio in bottiglia” non sarebbe mai giunto neanche alla deriva nello spazio a cui era alla fine destinato quando una notevole esplosione si formò sotto di esso. Era plausibile pensare che la capsula ormai in balia del flusso plasmatico avesse deflagrato violentemente prendendo ulteriore energia dal combustibile rimanente delle pile, la deflagrazione prodotta avesse generato un’onda d’urto paragonabile a una piccola bomba ad annichilazione (la più potente arma militare inventata nel corso dell’ultimo conflitto in grado di distruggere in un solo colpo interi pianeti). L’onda d’urto generata fornì un ulteriore spinta supplementare al drone che pur perdendo parte della schermatura avrebbe superato il punto di massimo carico meccanico e termico salvandosi dalla distruzione e mettendo al sicuro il messaggio in bottiglia.

La stessa potente onda d’urto però ebbe un drammatico effetto collaterale: nella direzione della bocca del vulcano più in basso la deflagrazione fece innalzare la pressione all’interno della sommità al punto da farne collassare una grande sezione; sui lati lo stesso fronte dell’onda deformò quella che era la cupola protettiva di plasma deviandone le lingue spiraleggianti all’interno della biosfera.

L’equilibrio di una unica miracolosa oasi paradisiaca e dalla bizzarra struttura simmetrica a forma di ciambella fu definitivamente e irrecuperabilmente perso per sempre.

Con una cascata di rapidissimi eventi l’innalzamento estremo di temperatura e le lingue di fuoco favorivano le interazioni esplosive tra ossigeno, idrogeno e altri elementi che ri-alimentavano le reazioni e gli stessi processi distruttivi. Quello che era stato il motore energetico del pianeta fino al momento prima si trasformò nella sua nemesi. Nei pochi secondi successivi tutto quello che poteva rappresentare la firma di un Creatore divino, con riferimento alla bolla atmosferica d’aria, all’acqua allo stato liquido e alla vegetazione, fu definitivamente cancellato. Le terribili onde d’urto delle immani esplosioni agivano verso il pianeta come il martello spacca il granito, in breve tempo l’intero pianeta o ciò che rimaneva fu inghiottito in un ultimo breve lampo di luce dalla stessa stella che ne aveva regolato l’esistenza per milioni di anni.

Il drone molto danneggiato registrò l’ultima presenza della terra piatta come una piccola anomalia delle normali reazioni nucleari della stella, poi smise di funzionare rimanendo su una traiettoria di fuga iperbolica.

L’ultimo smontaggio del cuore del robot automatico IEN-4 ormai smantellato dalla commissione di scienziati restituì i piccoli contenitori di campioni di vegetazione prelevati durante l’esplorazione di quell’improbabile mondo, accuratamente conservati e protetti.

L’etichetta scolpita nel materiale del contenitore riportava la scritta: CAMPIONE DI PARADISO.